Scheda L.Pellegrino

I caseggiati rurali nello “Stato delle Sezioni” dell’Archivio di Stato di Ragusa

Sappiamo della grande valenza che l’insediamento sparso ha avuto nell’altipiano ragusano nelle varie epoche storiche, fino a raggiungere in anni recenti valori di 20 – 30 abitanti per kmq., che la distingue nettamente dalle altre regioni siciliane. Sappiamo delle ragioni storiche che hanno determinato questa condizione, soprattutto in relazione al particolare rapporto determinatosi fra la proprietà fondiaria e l’economia agraria nella Contea di Modica, e delle grandi trasformazioni che ciò ha comportato nel contado durante l’Ottocento, il grande secolo della costruzione del paesaggio agrario degli Iblei. Vogliamo qui concentrare l’attenzione sulla masseria come portato di queste trasformazioni ma cercheremo anche di capire se e fino a che punto ne è stata strumento o motore.

Riconoscibilità del tipo perché possa caratterizzare storicamente un’area. Quali sono le ripetizioni per arrivare a definire quali siano gli elementi costitutivi della masseria ragusana e come essi si interrelazionino? Quali sono le relazioni specifiche che la masseria stabilisce col territorio, se viene da esso in qualche modo condizionata e se contribuisce specificamente ad una sua strutturazione?

Diffusione della masseria durante l’Ottocento. In che misura questo processo era in atto già nella prima metà dell’800 e che proporzioni raggiunge meno di un secolo dopo, agli inizi del ‘900?

Codificazione del tipo. Ad una evoluzione quantitativa di questi manufatti corrisponde una evoluzione qualitativa? Gli elementi costitutivi del tipo si modificano, in sé e nell’interdipendenza con gli altri, e di seguito nella relazione col territorio?

Per un approccio sistematico, e per uscire dal novero aleatorio di supposizioni e intuizioni che da un campo disciplinare si traspongono all’altro, è necessario ricorrere allo studio delle fonti.

I catasti, per prima cosa: quello borbonico del 1846 e quello post unitario degli inizi del ventesimo secolo. Essi permettono innanzitutto un raffronto di tipo quantitativo: quante sono le case di campagna a metà ottocento, subito a ridosso della alienazione delle proprietà feudali, e quante sono settanta anni dopo, a trasformazione ottocentesca delle campagne avvenuta. Permettono di indagare, in sostanza, la veridicità e la consistenza di quella “pacifica eversione del latifondo” caratteristica del ragusano. I catasti permettono, altresì, di sapere dove sono e a chi sono appartenute le case di campagna, che può portare ad individuarle e riconoscerle. Ciò consente di spostare il discorso sulla ‘qualità delle case, come erano fatte a fine Settecento, durante l’Ottocento, agli inizi del novecento; consente di ricostruire alcuni caratteri permanenti per delinearne se possibile una tipologia e capire se essa subisce una evoluzione e quale durante l’ottocento.

Lo “Stato delle Sezioni” del 1846 a Ragusa

Dopo la legge del 10 febbraio 1824 sulla rescissione delle soggiogazioni, non è più differibile una “Rettificazione del catasto fondiario” e durante il 1833 vengono emanati quattro decreti che contengono “le norme per la rettificazione del catasto”; successivamente, nel 1838, viene emanato un decreto abrogativo del precedente che, pur rivedendo le Istruzioni per la rettifica, non muta l’impalcato generale della riforma.

Il Catasto borbonico siciliano, pur prevedendo la redazione di mappe d’insieme, rimane un catasto descrittivo. Venivano redatti quaderni, di straordinario interesse per la conoscenza del contado siciliano a metà ottocento, che concorrevano a definire gli “stati delle sezioni”, documenti che riassumevano i dati raccolti. La denominazione “stato delle sezioni”, che ancora oggi vale ad indicare negli archivi i documenti suddetti, deriva dall’essere stato ripartito il territorio, per comodità d’esercizio, in un numero di sezioni congruo – non meno di cinque e non più di dieci -, di estensione approssimativamente uguale.

Lo “stato delle sezioni” di Ragusa – consultabile nell’Archivio di Stato di Ragusa, appunto – viene redatto nel 1846. Il territorio comunale è diviso in sette sezioni, dalla “G” alla “N”, seguendo scrupolosamente il dettato delle “Istruzioni”. Lo “Schizzo Topografico del Territorio di Ragusa” rinvenuto nell’archivio cartografico Mortillaro di Villarena mostra precisamente questa suddivisione, con limiti determinati da “strade e trazzere pubbliche e vicinali, ed anche confini naturali”. L’unico elemento dello “Schizzo Topografico” non strettamente riferibile alla definizione delle sezioni e alla perimetrazione del territorio è il grande segno blu del fiume Irminio che attraversa la mappa da nord a sud e identifica inequivocabilmente il territorio di Ragusa. Infatti, persino le diciture che affiancano la riproduzione assonometrica di caseggiati - che rappresentano la caratteristica di questa mappa e la distinguono da tutte le altre presenti nel catasto borbonico - sono funzionali alla individuazione delle contrade comprese all’interno delle sezioni, giusto il dettato delle “Istruzioni”. Colpisce che, proprio nel territorio di Ragusa, l’estensore della mappa abbia sentito l’esigenza di segnalare le contrade giustappunto con caseggiati rurali – chè spesso accade nella toponomastica orale locale l’individuare la contrada con l’insediamento rurale storicamente consolidato e viceversa-, quasi a significare una loro valenza particolare, o una evidente presenza, nel paesaggio agrario ragusano.

I volumi dello “Stato delle sezioni” di Ragusa – da considerarsi, in definitiva come il corpus della rettifica del catasto – sono propriamente i documenti di archivio studiati, i cui dati sono stati schedati ed elaborati ai fini di un ragionamento sui caseggiati rurali.

I caseggiati rurali nel catasto borbonico di Ragusa. Schema riassuntivo

Lo schema riassuntivo elaborato è il frutto del lavoro di schedatura condotto sui volumi dello "stato delle sezioni" del catasto all’impianto del 1846.

Ci si è prefissi di riportare tutte quelle proprietà dove si fa menzione di “stanze”, “camere terrane”, “secondi piani”, ...; tutte quelle proprietà, cioè, che contemplano nella propria area fabbricati che denotano in qualche modo la valenza di uso abitativo. Sono state escluse dalla catalogazione le proprietà che riportavano solamente le diciture “fabbrica rustica” e “mandra” – che ammontano a centinaia – perché richiamano esplicitamente la funzione lavorativa, potendosi intendere la fabbrica rustica un naturale complemento della mandra quale locale per la lavorazione del latte, etc.
Questo lavoro ha avuto la duplice finalità di rendere facilmente direttamente confrontabili per quantità e per caratteristiche le abitazioni che si sono schedate e di fornire una quantificazione abbastanza attendibile della abitazione sparsa nel territorio ragusano a metà ‘800.

Si ritrovano in tutto quattro tipi di abitazioni rurali, riportati nelle prime quattro colonne dello schema - caratterizzati ognuno dalla presenza della fabbrica rustica e della mandra, che ci conferma come queste diciture si riferiscano direttamente alla funzione lavorativa, non essendovi altrimenti motivo di differenziare camere, stanze, corpi bassi, ...-. (Ricordiamo che il catasto borbonico è un catasto ancora descrittivo: il fatto che si differenzi stanze superiori da 2° piano, stanze basse da corpi bassi, fa riferimento sicuramente all’esigenza di specificare una natura del fabbricato. Così l’apparente carenza di questo catasto – l’assenza di iconografia – si tramuta ai fini del nostro studio in un vantaggio evidente: le ‘parole’, costrette a supplire le immagini, devono essere più chiare ed esaustive che altrove, non dovrebbero lasciare adito a dubbi; quegli stessi elementi che non sarebbe stato agevole riconoscere nelle immagini – quale potrebbe essere precisamente la differenza iconografica fra stanze e corpi bassi? – sono nominati chiaramente a parole, sono definiti; una certa casa, un certo tipo, sarà costituito da stanze basse e stanze superiori, un altro da corpi bassi e 2° piano, ...; le ‘parole’, questa volta, possono più che le ‘cose’). La quinta e sesta colonna, invece, ripetono un tipo di abitazione già contemplato nella seconda colonna, ma che non si accompagna a fabbriche rustiche e mandra, la cui percentuale è comunque del tutto trascurabile.

(estratti del volume “Dalla masseria alla villa. Trasformazioni territoriali nell’altipiano ragusano durante il secolo XIX”, edito per i tipi di LetteraVentidue, elaborazione della mia tesi di Dottorato)