Il codex era formato da una successione di fascicoli, ognuno a sua volta composto da un numero variabile di bifolii, cioè fogli di pergamena piegati a metà parallelamente al lato corto e inseriti uno dentro l’altro, e riuniti con una cucitura. All’interno del fascicolo, quindi, questi fogli (carte) si corrispondono a due a due (il primo con l’ultimo, il secondo col penultimo etc.), poiché solidali, appartenenti alla stessa unità codicologica (bifolio). Ogni carta ha due facciate, definite recto e verso.
Se il fascicolo è composto di 2 bifogli (=4 fogli/carte) si parlerà di binione; se composto di 3 bifogli (= 6 fogli/carte) di ternione; se composto di 4 bifogli (= 8 fogli/carte) di quaterione, etc.
La composizione modulare del codice, composto da una sequenza di fascicoli aggregabili, rendeva il manoscritto medievale un’unità meno statica di quanto pensiamo (forti della nostra abitudine ai libri a stampa), definendo invece un oggetto complesso e dinamico, composto da fascicoli che potevano essere allestiti contemporaneamente o in successione, all’interno di un medesimo progetto editoriale, come in luoghi e tempi diversi e successivamente aggregati.
Una volta allestiti i vari fascicoli, essi venivano rilegati insieme secondo la sequenza prestabilita. Per agevolare tale lavoro di legatura, non era insolito lasciare note e segni di richiamo: ad esempio, nel margine inferiore della carta finale del fascicolo poteva essere anticipata la parola iniziale del fascicolo successivo, di modo che fossero garantiti l’ordine e la corretta sequenza delle unità.